È passata all’incirca una settimana dallo scandalo che ha coinvolto Cambridge Analytica e Facebook a seguito delle inchieste pubblicate dal The New York Times e dal The Guardian da cui è emersa la violazione di 50 milioni di profili per finalità elettorali.
Ancora una volta, questo evento ci ricorda quanto delicata sia la questione dei dati personali e del loro rischio di venire strumentalizzati nel web. Vediamo nel dettaglio la vicenda.
Il fatto
Nel 2013 nasceva Cambridge Analytica, una società specializzata in strategie di comunicazione. Questa azienda ha sempre svolto il proprio lavoro attingendo abbondanti dati dai social network, ovvero una serie di informazioni tratte dal comportamento degli utenti che, una volta elaborate, permettono di creare profili specifici. Con questi presupposti, Cambridge Analytica si vanta di essere riuscita a creare pubblicità altamente personalizzate su ogni singola persona.
Negli anni, la società si è specializzata in consulenza politica, offrendo servizi a governi e partiti, spesso nel corso di svariate campagne elettorali nel mondo (come in Indonesia, Thailandia, Svizzera e anche in Italia nel 2012). In particolar modo, la compagnia ha avuto nel 2016 importanti rapporti con collaboratori di Donald Trump durante la campagna elettorale statunitense. A tal proposito si ricorda che proprio il suo fondatore, Robert Mercer, è stato uno dei finanziatori del sito d’informazione di Steve Bannon, consigliere e stratega di Trump sia in campagna che alla presidenza.
Nel frattempo, nel 2014, un brillante ricercatore in psicologia dell’università di Cambridge, Aleksandr Kogan, realizzò thisisyourdigitallife, app nata per svolgere previsioni comportamentali basate sulle attività online svolte dai soggetti valutati. Qui entra in gioco Facebook: per utilizzare thisisyourdigitallife, le circa 270mila persone che si sono iscritte hanno effettuato il login tramite il social network. Questo, infatti, è un servizio di comodità che, sicuramente, sarà capitato di utilizzare a tutti perchè permette di accedere ad un nuovo sito o app senza la necessità di dover creare nuovi username e password, ma lasciando che le nostre credenziali vengano estrapolate direttamente da Facebook. È il cosiddetto social login.
Quello che non sapevano gli utenti però, era che acconsentendo alle condizioni d’uso, concedevano all’app non solo il consenso sui propri dati, ma anche su quelli di tutti gli amici del proprio network. Secondo quanto dichiarato in un’intervista alla CNN, non appena il colosso di Mark Zuckerberg si accorse di questa invasività limitò l’accesso all’app. Questa però, nel frattempo, era già riuscita a raccogliere un enorme numero di dati, violando oltre 50 milioni di profili. Kogan, inoltre, aveva avviato una stretta collaborazione con Cambridge Analytica (a detta di Facebook, a loro insaputa), con cui condivideva i dati raccolti, violando i termini d’uso del social.
Questi sono fatti di circa 3 anni fa. La sospensione di questi giorni, dunque, è arrivata comunque molto tardivamente e solo a seguito di un’inchiesta giornalistica sorta dalle dichiarazioni di Christopher Wylie, ex dipendente di Cambridge Analytica e principale fonte. Dopo 5 giorni di silenzio, Mark Zuckerberg ha dichiarato di aver fatto un errore e che cambierà il modo in cui Facebook condivide i propri dati con terza parti, “We have the responsability to protect your data, and if we can’t, then we don’t deserve to serve you”.
Cosa c’entrano Trump e la Russia?
Questo evento è stato un palese caso di quella branca dell’informatica chiamata ingegneria sociale. Con questo termine si intende lo studio del comportamento individuale di una persona dato dalla somma delle “tracce” che lascia online (i “mi piace” che mette, i siti che visita, le persone con cui è in contatto), al fine di carpirne informazioni utili. Sí ma, utili a cosa?
La risposta più intuitiva e scontata sembra essere “al marketing”. Ai grandi colossi del mercato che possano così, tramite pubblicità estremamente mirata, indirizzare i loro prodotti ad una cerchia di consumatori ben selezionata (proprio sulla base di quei dati di cui parlavamo sopra).
Nell’epoca della post-verità però questo non è tutto. Infatti oggi, questi dati sensibili possono diventare una preziosa risorsa anche nel macchinoso gioco politico. La stessa Cambridge Analytica sbandiera orgogliosamente di offrire servizi di persuasione elettorale, soprattutto sui cosiddetti swing voters, i non schierati ideologicamente e, per questo, più semplici da manipolare.
Nell’estate del 2016, a pochi mesi dalle elezioni americane, il comitato di Trump decise di affidare a Cambridge Analytica la raccolta dei dati per la propria campagna. Da qui nasce il sospetto che la società abbia in qualche modo strizzato l’occhio alla Russia mettendo in atto una vera e propria propaganda anti-Clinton e pro-Trump.
Non è stato ancora chiarito quanto o come l’azienda abbia collaborato a questo scopo, ma alcune indagini propendono per un’attività organizzata su vasta scala tramite migliaia di annunci pubblicitari e account automatici (i cosiddetti bot) per diffondere fake news e contenuti programmati. A riprova di questo, Michael Flynn, l’ex consigliere della sicurezza nazionale di Trump sospettato di legami con la Russia, pare ebbe anche un ruolo di consigliere in Cambridge Analytica.
Molto interessante è una lunga inchiesta del The Guardian che mette in luce anche un ruolo della compagnia all’interno del referendum per Brexit, dove sembra avesse già cominciato a utilizzare dati e informazioni di utenti per condizionarli con propaganda a favore dell’uscita dall’Unione Europea.
Ora mi cancello da Facebook?
A seguito di questi eventi c’è stata una vera e propria follia generale che ha diffuso allarmismo in merito alla sicurezza delle proprie informazioni sui social network. Quel che è certo è che al giorno d’oggi siamo tutti così intrinsecamente immersi in una rete di continuo scambio di dati che non sarà cancellando Facebook che risolveremo il problema (anche perchè a quel punto bisognerebbe disfarsi anche di Whatsapp, a cui forse meno persone riuscirebbero a rinunciare). Piuttosto quello che conta è un atteggiamento più accorto e ponderato quando inseriamo o condividiamo i nostri dati online.
Ma soprattutto prima di condividere qualcosa su di noi facciamoci una domanda: “Perchè lo sto facendo?”.
Se la risposta non rappresentasse una necessità fondamentale, potete tornare pure a preparare quei deliziosi plumcake che regalerete alla vostra nonnina, fatti con farina glutenfree, mentre guardate una puntata di Forum e vostra figlia si sta facendo dei selfie mezza nuda in bagno da mandare al ragazzo conosciuto ieri in discoteca (fonte: Cambridge Analytica).
Noi di Ars Digitalia comunque ci siamo divertiti a farvi riflettere su tutto quello che Facebook sa di noi, che ci piaccia o no.