Le chiamano “New Addictions” (Nuove Dipendenze) e sono le malattie del nuovo millennio, ovvero tutte quelle forme di dipendenza in cui non siano coinvolte sostanze chimiche. A generarle, invece, paradossalmente, sono comportamenti leciti o attività socialmente accettate.
Fra Nuove Dipendenze, quindi, figurano il gioco d’azzardo patologico, lo shopping compulsivo, l’estremo sovraccarico lavorativo e, in particolare, la dipendenza dal web. L’Internet Addiction Disorder (IAD), così definita dagli esperti, è un disturbo in crescita, tanto che, secondo le ultime stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, in Italia sarebbero 240mila i giovani che trascorrono più di 3 ore al giorno su internet.
Tipologie ed effetti
Tale dipendenza è una, ma diverse sono le modalità in cui può manifestarsi. Sono state individuate essenzialmente quattro tipologie di attaccamento ad Internet, tutte con risvolti desolanti:
– Net gaming: sotto questa etichetta sono compresi diversi comportamenti legati all’utilizzo compulsivo di videogames, gioco d’azzardo virtuale, giochi interattivi e siti d’aste. In molti casi conducono alla perdita di significativi importi di denaro e all’interruzione dei propri doveri o rapporti sociali;
– Dipendenza cyberelazionale: si riferisce a quella specifica dipendenza dalle pseudorelazioni affettive nate e sviluppatesi online e quindi, di fatto, virtuali. Questo genere di relazioni diventano per l’individuo più importanti dei rapporti reali, conducendolo molto spesso all’autoisolamento;
– Dipendenza cybersessuale: coinvolge i soggetti dediti allo scaricamento, utilizzo e commercio di materiale pornografico online, oltre che alla frequentazione di chat-room o siti di incontri;
– Information overload (sovraccarico cognitivo): termine con cui si intende quell’ossessione per la navigazione e l’utilizzo dei database del web che portano a trascorrere sempre più tempo nella ricerca e nell’organizzazione dati con tendenze compulsivo-ossessive.
I cambiamenti che lo IAD comporta sono drastici nello stile di vita delle persone, soprattutto fra i giovanissimi (le vittime più numerose sono fra gli 11 e i 16 anni). Gli effetti più comuni sono:
- isolamento dal mondo reale e perdita della comunicazione verbale;
- disturbi del sonno e dell’alimentazione;
- problemi relazionali e lavorativi;
- sbalzi d’umore;
- perdita di interessi.
La sindrome Hikikomori
In particolar modo, a causa della sempre maggior diffusione di disturbi simili, che hanno tutti quale risvolto l’isolamento sociale, è stato coniato un vero e proprio termine per quella che è riconosciuta come la sindrome di Hikikomori. Fino a poco tempo fa, apparteneva solo al Giappone ma ormai si è diffusa in tutto il pianeta e indica quegli elementi che, volontariamente, arrivano ad estremi livelli di confinamento ed autoesclusione, senza alcun contatto con l’esterno o con gli affetti più intimi. Tali scelte sono causate da fattori personali e sociali di varia natura, ma soprattutto l’avvento su grande scala di Internet, e più nello specifico dei social media, è stato determinante.
Gli hikikomori, anche conosciuti come “eremiti postmoderni”, hanno uno stile di vita caratterizzato da un ritmo sonno-veglia completamente invertito: sacrificano le ore di luce con quelle notturne spese sul web, spesso sostituendo i rapporti sociali diretti con quelli virtuali. Le ripercussioni sono molto profonde sulle loro competenze sociali e comunicative, sul rendimento lavorativo ed in generale sulla loro condizione psico-fisica.
Uno studio effettuato dall’Università di Medicina di Pittsburgh ha individuato che esiste una connessione fra l’isolamento sociale e l’utilizzo dei social media: su 1.787 adulti tra i 19 e i 32 anni, chi utilizza i social per più di due ore al giorno raddoppia la possibilità di soffrire di solitudine.
Quel che risulta chiaro è che internet sta davvero cambiando il nostro mondo, e (come ormai è evidente) non solo in meglio. Siamo giunti al paradosso per cui i social media, nati per aiutare a mantenere i legami e aumentare le connessioni, ci isolano sempre di più, fanno perdere la nostra privacy, veicolano disinformazione e creano dipendenza. Facciamoci alcune domande.